Working as a musician ft. Giacomo Bigoni

Trascrizione

M: Ciao a tutti, benvenuti sul mio canale e benvenuti in questo nuovo video! Oggi sono qui con mio cugino, Giacomo Bigoni.

G: Ciao a tutti ragazzi!

M: Il mio super cugino, ed è qui con noi oggi perché vorrei che condividesse insieme a voi la sua esperienza. Poi pian piano nel video capiremo meglio insieme cosa c'è di così interessante nella vita, nell'esperienza di Giacomo. 

G: Ben poca cosa in realtà però grazie per avermi invitato Meggy, sono molto felice di darti una mano e di essere qui per questo bellissimo progetto che stai portando avanti.

M: Grazie mille! Quindi, dicci qualcosa di te, però senza andare troppo nel dettaglio, rimani un po' generale, non spoileriamo. Quindi vuoi...

G: parliamo di quello che faccio nella vita. Io nella vita faccio il musicista, come si dice in questi casi che di solito sembra sempre una risposta: "Oddio, fai il musicista! Che bello, che lavoro affascinante!". In realtà è un lavoro come tanti altri che però ha sicuramente degli aspetti che di cui magari vale la pena parlare, ecco, perché non è così scontato come si pensi.

M: Poi giusto per chiarezza sei italiano.

G: E fin qua...

M: Esatto.

G: Sono di Reggio Emilia, quindi noi siamo... abitiamo tra l'altro a pochi metri di distanza, un isolato di distanza. Sono di Reggio, suono la chitarra classica e un po' di anni fa ho studiato a Londra, e forse è il motivo per cui siamo qua, vero Meggy? M: Esatto, bravissimo. Infatti, la prima domanda che ti vorrei fare è appunto perché hai deciso di andare a Londra. Perché ad un certo punto nella tua vita accademica e professionale hai deciso di espatriare a Londra. G: Beh, allora, partiamo dal presupposto che per chiunque faccia un mestiere nel lato della creatività o comunque dell'arte è importante aprirsi gli orizzonti il più possibile, quindi fare anche esperienze fuori dal proprio nido, fuori dal proprio luogo di nascita. Io ho studiato tanti anni qui a Reggio in conservatorio. Sono sempre stato molto felice del percorso che ho fatto, ma c'è stato un momento in cui avevo bisogno di uscire un po' dal nido e avevo bisogno di mettermi a confronto con un'esperienza nuova dove magari ero pure l'ultima ruota del carro perché c'era tanta gente anche più brava di me. Però questa cosa mi stimolava, questa cosa mi dava nuove idee, mi dava la carica per provare a fare sempre il mio meglio e cercare di migliorare. E trovarsi in un contesto così ovviamente ti dà un sacco di carica, di libidine soprattutto quando hai... io all'epoca avevo 21 anni, quando hai l'età propri in cui devi dare il massimo che hai per diventare una persona adulta diciamo.

M: Esatto. Bravissimo, esatto. E quindi un'esperienza all'estero è perfetta per farsi le ossa appunto, perché sei l'ultimo arrivato, sei un principiante ancora nel tuo ambito ed è perfetto per confrontarsi con una nuova realtà, per studiare, conoscere nuove persone e conoscere anche una cultura diversa dalla propria.

G: Sì, e costruirti anche una strada professionale di un certo tipo, ecco. Come hai detto tu, la cosa importante appunto è anche il fatto di venire a contatto con culture diverse. Una delle cose più belle, che più mi hanno colpito quando mi sono trasferito a Londra e ho iniziato a studiare al Royal College of music, che è probabilmente il college di musica più importante d'Europa, e quindi di conseguenza frequentato da persone di, se non sbaglio, 150 nazioni diverse, è proprio il fatto che c'è una persona di ogni tipo. Nella stessa cucina, nello studentato c'era un norvegese, c'era un'australiana, c'era un cinese, c'era una estone, un'irlandese, c'era di tutto. C'era qualsiasi cultura ed eravamo tutti uniti nel nome di… dello studiare musica ed è cercare di portare avanti un po' questo sogno e questa passione che poi sarebbe diventata per tutti più o meno il nostro lavoro.

M: Esatto. E questa è una cosa molto positiva, molto bella soprattutto negli anni in cui appunto ci stiamo formando, e ci dobbiamo affacciare per la prima volta nel mondo adulto.

G: Sì.

M: E quindi, in vista di questo multiculturalismo che hai vissuto a Londra, in quanto italiano hai avuto delle difficoltà ad integrarti? Hai dovuto affrontare degli stereotipi legati alla cultura italiana?

G: Beh, premetto che all'inizio la cosa che più mi mancava era il ragù della mamma. Questa cosa è stata un problema perché dopo un po' ho dovuto imparare a farmelo. Come tutti i bravi italiani, ho portato avanti almeno all'inizio lo stereotipo di quello che andava in giro a cercare i ristoranti italiani, a cercare la pizza napoletana, cercare il ragù alla bolognese e queste cose. Poi chiaramente dopo un po' cominci anche a costruiti la tua dimensione e ad apprezzare anche cibi di altre culture e comunque ad apprezzare il fatto che ok non sei a casa tua non hai le tranquillità di casa e le usanze di casa, ma devi anche imparare ad apprezzare questa cosa proprio perché sai che magari questo sarà per un tempo limitato della tua vita, non necessariamente deve essere per tutta la vita. Io sono molto legato alle mie radici e sono felice di vivere ora a Reggio Emilia, però in quel periodo avevo bisogno anche di questo. Riguardo agli stereotipi sull'Italia, come tu hai detto chiaramente ci sono, però mediamente devo dire che gli italiani sono sempre stati molto apprezzati. Nel mio periodo, parliamo di un po’ di anni fa, quindi nel periodo pre-Brexit, pre ovviamente pandemia e pre i problemi di oggi, c'era molto apprezzamento per chi venisse dai paesi latini, dall'Italia, quindi la cultura italiana, l'apertura italiana peraltro contrapposta magari alla freddezza degli inglesi che sono un popolo sicuramente un po' più agio e un po' come un pochino più rigido magari nel dare anche confidenza, mentre noi italiani siamo sempre i soliti caciaroni. Quindi questo diciamo che era sempre molto apprezzato e quando dicevi che eri italiano: "Ah, you are Italian! I love Italy and Venice, and Florence, Rome, and Italian shoes e bla bla bla!" Quindi insomma.

M: "Italian shoes".

G: Sì, sono i grandi stereotipi dell'Italia, però ti facevano sempre sentire molto apprezzato.

M: Ok. Quindi erano, diciamo, in linea generale tutti stereotipi positivi?

G: Quasi tutti, sì generalmente sì. Poi chiaramente ci sono anche certi stereotipi negativi che però devo dire erano una piccola parte e sono anche cose peraltro abbastanza condivisibili, come, per esempio, ricordo che una volta un ragazzo australiano mi disse: "You Italians have the most crappy trains ever!". "Avete i peggiori treni probabilmente di sempre!". Effettivamente è una delle cose a cui si fa fatica a dare torto. Poi ovviamente tutti i problemi sul mondo politico, sulla situazione politica che aveva l'Italia in quel periodo, chiaramente sono cose di cui si parlava però non ho mai vissuto alcuna discriminazione o stereotipo pesante perché fossi italiano. Almeno la mia esperienza è stata così, poi magari non è così per tutti, ovviamente dipende. Dipende secondo me anche, scusa, dal contesto culturale dove ti trovi. Qui erano tutte persone con un certo livello culturale, o comunque come un'istruzione di un certo tipo e di conseguenza questo permetteva anche di ragionare in maniera più equilibrata.

M: Con una certa sensibilità diciamo anche.

G: Sì, sì certo. Esatto.

M: E poi si ripetiamo che qua comunque stiamo parlando per esperienza personale.

G: Assolutamente! Non vogliamo assolutamente generalizzare, ma appunto stiamo parlando dell'esperienza di Giacomo. Siamo nel soggettivo e non nell'oggettivo, felicemente!

M: E invece a livello linguistico hai avuto dei problemi con l'inglese o già comunque lo sapevi bene? Com'è stata l'esperienza?

G: Mah, io quando sono partito venivo dagli anni di liceo, dove peraltro avevo studiato inglese abbastanza bene perché avevo una brava insegnante, e mi sentivo di parlano bene l'inglese. Poi ovviamente quando ti trovi sul campo e ci devi parlare tutti i giorni e tutte le ore per chiedere qualsiasi cosa e soprattutto devi avere a che fare con accenti diversissimi ovunque, perché non è sempre l'accento british che è facile comprensibile, ma ti trovavi l'americano, ti trovavi l'australiano che parlava strascicato così, ti trovavi il gallese che si mangiava le esse, lo scozzese ancora peggio... E quindi all'inizio devo ammettere che le prime settimane non dico che è stata dura però è stata un po' difficile, alla sera ti veniva mal di testa. Però chiaramente insomma se non sei proprio la persona più impedita del mondo parlare le lingue, ma bene o male tutti quanti quando viviamo un'esperienza di questo genere siamo anche stimolati a parlare e a migliorare. Quindi diciamo che l'approccio di vita in quel momento ti aiutava anche sicuramente a supera la barriera linguistica e dopo un po' non c'erano più problemi, non è stato un problema grosso.

M: Esatto. E poi c'è da mettere in mezzo agli accenti, anche gli accenti stranieri.

G: Esatto.

M: Gli accenti delle persone che stavano come lui imparando, studiando l'inglese, e anche questo comunque è un'altra difficoltà non da poco perché ci sono accenti più facili da capire e accenti magari un po’ più complicati.

G: Certo. Tu Meggy ne sai qualcosa, ovviamente proprio per ciò di cui ti occupi; quindi, a maggior ragione non sono io a doverlo dire. Ma noi italiani prima di tutto eravamo quelli che venivano anche additati come "ah, voi avete un pessimo accento perché parlate inglese con l'accento italiano", ma è verissimo, è la verità perché anche se puoi essere fluente quanto vuoi, fluido quanto vuoi nel parlare l'inglese, ma comunque è difficile che ti vada via del tutto l'accento. E a maggior ragione anche chi veniva da altre nazioni ogni giorno avevi accenti diversi e ci dovevi fare i conti.

M: Esatto, bravissimo. Perché comunque perdere l'accento non è facile. Però comunque non è questo l'argomento di questo video, quindi magari ne parleremo prossimamente.

G: Abbiamo già trovato uno spunto per un altro video!

M: Esatto, bravissimo. E invece, ora ti chiedo: è stata un'esperienza molto positiva quella di Londra e perché hai deciso di tornare in Italia?

G: Beh, allora, innanzitutto perché non mi sono mai sentito veramente a casa a Londra, perché non era casa mia, perché non è il posto dove sono nato, ci sono persone che molto facilmente riescono a sradicarsi e molto facilmente riescono a cambiare proprio anche il loro stile di vita in maniera definitiva. Io non mi ci sono mai sentito fino al primo giorno, non mi sono sentito in grado di poter fare questo per sempre. Quindi, è stata anche una scelta abbastanza naturale. Poi ci sono ovviamente anche ragioni lavorative e a Reggio Emilia mi sono reso conto che avrei avuto nell'immediato possibilità di iniziare a lavorare subito in maniera importante, perché appena tornato in Italia subito ho cominciato a lavorare nel conservatorio dove studiato e dove lavoro da allora dal 2014. E questo a fronte del fatto che invece in Inghilterra non avrei avuto grosse certezze, o quantomeno avrei dovuto fare i conti con un paese dove la vita costava molto di più e dove tutto sommato, è anche stupido negarlo, la concorrenza lavorativa e anche più grande. È vero che sono maggiori opportunità, ma anche la concorrenza è maggiore e per chi lavora in un ambiente di nicchia come può essere quello della musica classica, della chitarra classica, dell'insegnamento di uno strumento classico ovviamente questo è un problema su cui fare i conti. Quindi sono giunto alla conclusione che o hai una motivazione forte che ti fa stare lì e allora quel punto fai sì che tutti i tasselli vadano a posto, oppure se ti rendi conto che comunque alla fine ti manca casa, secondo me è stupito anche rimanere in una città così grande e magari vivere male e saturare l'ambiente lavorativo in una città dove che magari non ha del tutto ha bisogno di te. Questo è il ragionamento che ho fatto, poi ogni scelta è rispettabile secondo me e apprezzo tanto, stimo molto chi è riuscito a restare a Londra, o comunque chi non ha avuto problemi ad adattarsi del tutto allo stile di vita. Io personalmente mi sentivo meglio a tornare a casa e sono molto felice della scelta che ho fatto. Ciò non toglie che probabilmente senza quell’esperienza la mia stessa vita sarebbe andata diversamente e non credo che avrei avuto le soddisfazioni lavorative che ho avuto oggi, questo sicuramente.

M: E, quindi, in tutto quanti anni o quanti mesi hai passato a Londra?

G: Ho passato due anni, due anni accademici, più, sono tornato varie volte negli anni successivi perché, comunque, ho mantenuto i contatti con i miei insegnanti. Sono tornato per concerti, sono tornato per elezioni, per masterclass, per altri avvenimenti. Adesso, devo dire la verità, è un po' di tempo che non ci torno, complice anche la pandemia, ma comunque un viaggio a Londra prossimamente lo programmo. Appena possibile penso che ci andrò. In ogni caso, sì, è un'esperienza che è durata un periodo limitato, ma è stato molto intenso.

M: Certo, assolutamente. E quando sei tornato in Italia e quindi hai effettivamente iniziato a lavorare, quanti anni avevi esattamente?

G: Avevo 23 anni!

M: Ok, quindi eri giovanissimo!

G: Sì, abbastanza giovane.

M: Hai iniziato a lavorare...

G: ma in realtà lavoravo anche prima di andare avevo iniziato a lavorare... per chi non lo sapesse, il lavoro del musicista classico è principalmente fatto di insegnamento perché difficilmente si vive di concerti, a meno che tu non riesca a trovare un contratto fisso in un'orchestra. Ma il mio strumento, la chitarra classica, in orchestra non ci lavora. Quindi, il mio lavoro sapevo già che sarebbe stato una grossa parte di insegnamento e una parte più saltuaria di attività concertistica, che ovviamente non è un lavoro fisso. Per cui io già avevo iniziato prima di andare a Londra, a 18 anni avevo iniziato a insegnare nelle scuole private di musica o comunque con dei corsi in convenzione con il conservatorio dove studiavo e successivamente poi ho trovato proprio lavoro all'interno del conservatorio, quindi... e ci insegno da allora, dal 2014.

M: Infatti, l'ultima domanda che volevo farti per concludere questo cerchio, questa intervista, è che lavoro fai adesso? Qual è il lavoro...

G: Faccio il musicista! Come dicevo prima, ovviamente il lavoro è principalmente, soprattutto anche in queste ore in questo periodo post pandemia dove l'attività concertistica è stata ferma per lungo tempo ed è ripartita gradualmente in tono ovviamente molto minore rispetto a prima, il mio lavoro si snoda tra il conservatorio (quest'anno sono nella sede di Castelnovo Monti mentre gli anni precedenti ero nella sede di Reggio Emilia) e due scuole private dove insegno gli altri giorni. Alla fine, riempio una settimana lavorativa di sei giorni quindi... l'attività comunque è molto intensa, perché soltanto nel pomeriggio, ma finisce spesso anche alla sera.

M: Come possiamo descrivere il conservatorio? Cos'è il conservatorio?

G: Il conservatorio è la scuola professionalizzante per chi vuole studiare musica classica. Non solo classica a dire il vero perché molti conservatori e ultimamente negli ultimi vent'anni hanno inserito corsi pop, corsi rock, corsi jazz, e stanno un po' aprendo i loro orizzonti verso nuove verso anche altre altri generi musicali che non siano necessariamente solo lo stile della musica classica. Però diciamo che il conservatorio è una scuola di base molto seria come impianto; quindi, non è la classica scuola di musica dove si impara musica in maniera amatoriale, ma una scuola che teoricamente ha l'obiettivo di formare i professionisti del mondo musicale, quindi professori d'orchestra, gli insegnanti di conservatorio, gli insegnanti di musica nelle scuole, i concertisti ovviamente. E come dicevo, il mio lavoro si snoda in queste due fasce: l'insegnamento e il concertismo che è più saltuario e anche legato un po' ad altri fattori. Come dicevo prima, il periodo della pandemia non ci ha aiutato ed è un periodo ovviamente... ed è un’attività che sta ripartendo un po' alla volta.

M: Quindi potremmo definire il conservatorio una scuola professionalizzante.

G: Sì esattamente. Questo è ciò che la differenzia dalle normali scuole di musica.

M: Esatto, perfettamente. E invece a livello di concerti, come funzionano i concerti di musica classica in Italia e magari anche in Europa, visto che hai esperienza anche all'estero.

G: Certo, beh, il mio strumento la chitarra classica, è uno strumento prevalentemente solista o parte di gruppi cameristici, quindi duo trio di chitarre, chitarra violino, chitarra e flauto, chitarra e quartetto d'archi, insomma è uno strumento, comunque, che non fa parte del mondo orchestrale, del mondo sinfonico, ma al massimo con l'orchestra ci suona da solista. La chitarra classica è uno strumento popolare, quindi uno strumento che è arrivato molto tardi nelle sale da concerto importanti e tuttora è meno presente di altri strumenti, come violino, pianoforte, violoncello, degli strumenti più tradizionali diciamo. Quindi la chitarra possiamo dire che ha il suo background lavorativo e concertistico all'interno magari di piccoli festival, di rassegne locali, di sale da concerto dedicate, di teatri oppure, che è il massimo di prestigio che puoi avere nel mondo chitarristico, andare a suonare da solista con un'orchestra, che è la cosa anche di maggior soddisfazione per chi suona. E quando ci riesci ovviamente la soddisfazione è tanta.

M: Immagino. E se invece vogliamo rapportare la cultura europea della chitarra, ma in generale la musica classica, con la cultura invece più a livello mondiale, extra-europeo, come sarebbe questo rapporto? In Europa forse un po' più forte, fuori dall'Europa meno, oppure non c'è differenza?

G: Ma, in realtà ultimamente si sono molto appianate le differenze da questo punto di vista. È chiaro che l'Europa ha avuto un ruolo grande nello sviluppo della chitarra classica, che è nata in Spagna, che poi è stata sviluppata in Europa. Però tutt'oggi c'è una grande scuola di chitarra in America, ce n'è una grandissima ovviamente in Asia. Per esempio, ho visto qualche tempo fa un elenco di musicisti, di chitarristi, usciti dalla Juliard school di New York e c'erano tantissimi nomi coreani, asiatici, di ogni veramente di ogni nazionalità, non necessariamente europea. Quindi credo che ormai sia uno strumento suonato a livello globale. A tutt'oggi il concorso di chitarra più importante e quello più celebrato al mondo il GFA (Guitar Foundation of America) si svolge in America appunto; quindi, non è né più necessariamente uno strumento soltanto Europeo.

M: E per America intendiamo gli Stati Uniti d'America.

G: Sì, si chiama Guitar Foundation of America, ma si parla del Nord America, chiaramente, gli Stati Uniti. Però ovviamente la chitarra classica ha grande tradizione anche in Sudamerica. È uno strumento che in Argentina è suonatissimo, in Cile per esempio, sono strumenti che.... è uno strumento fortemente popolare e che funziona bene anche in quei paesi.

M: Molto bene, mi ha fatto un sacco piacere ripassare e rivivere la tua storia, che ovviamente già sapevo in quanto siamo cugini. Però alcuni dettagli, alcune specifiche, del tuo percorso, ecco magari mi sfuggivano.

G: Certo, siamo anche cresciuti insieme, quindi tu c'eri ai primi concertini che facevo quando ero piccolo. Tu eri una scriccioletta e io salivo per la prima volta sui palcoscenici.

M: Esatto. E mi ricordo tutto perfettamente.

G: Che bello.

M: Meraviglioso. Va bene.

G: E io sono felice di essere stato qui con la mia cugina che ha un canale bellissimo. Iscrivetevi! Mettete mi piace perché se lo merita!

M: Momento pubblicità. Grazie mille Tato!

G: Grazie a te Meggy!

M: Ti ringrazio tantissimo per aver condiviso con noi, con tutti noi, la tua esperienza e mi raccomando se avete domande o se avete curiosità lasciate un commento, qua sotto, nei commenti appunto. E così io vi potrò rispondere e potrò magari inoltrare le domande a lui.

G: Oppure seguitemi su Instagram Giacomo Bigoni Guitar.

M: Esatto, bravissimo.

G: Lo mettiamo sotto.

M: Esatto, sempre in descrizione trovate il suo profilo su Instagram. Allora noi ci vediamo in un prossimo video e niente, vi auguro una buona giornata una buona serata, in base dalla parte del mondo in cui ci state seguendo.

G: E se siete appassionati di musica, buona musica!

M: Esatto, bravissimo, buona musica a tutti! Possiamo dirlo. Ciao!

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